09-03-2018, 15:00
Molti anni fa a Valls, nel Damara...
Ivor si sveglia con la faccia nel fango, l'odore del vomito che ancora impregna le sue narici e il sapore del sangue che gli impasta la bocca. Fiocchi di neve si posano con gentilezza sulla faccia contusa, ma sapeva quel sollievo si sarebbe presto trasformato in un pericolo mortale: non era il caso di passare la notte all'aperto.
Mentre rimetteva insieme i pezzi della sua memoria annebbiata qualche ora prima, sentiva ancora alle sue spalle risa di scherno e spacconerie di chi lo aveva ridotto così.
Sputò sulla soglia della bettola, di sicuro non era più il benvenuto là e così si incamminò per i vicoli che si ricoprivano lentamente di bianco.
Un altro di quei "ricchi bastardi", probabilmente il proprietario di una qualche concessione mineraria, era davanti alla porta di lei. Sapeva che non poteva farci nulla ormai, spalleggiato com'era dalle sue guardie personali fuori dalla stanza dopo l'ultima volta. Inoltre lei non avrebbe apprezzato l'interferenza nel suo discutibile lavoro...
Così se ne tornò di sotto al bancone, cercando di affogare i dispiaceri con qualcosa di forte.
Aveva già alzato di molto il gomito per un piccolo ometto pelle e ossa come lui, quando la sua attenzione venne catturata dalla persone sedute al tavolo vicino, sul quale luccicavano mucchietti di monete d'oro passate facilmente di mano in mano, come le carte da gioco che ne decidevano la sorte.
Per un lungo momento rimase lì a fissarli, prima che la malsana idea che se avesse avuto fortuna per una volta nella vita forse le cose sarebbero andate meglio per lui e la "sua donna" avrebbe potuto smettere di vendersi in quel posto schifoso.
Così si sedette a quel tavolo , posando il magro borsello in cui c'era quanto rimaneva della paga di bracciante dopo l'ultimo mese di fatiche nei campi, ormai spogli per l'inverno appena arrivato.
Neanche a dirlo iniziò a perdere, e scolandosi quel che restava nella bottiglia si convinse sempre di più che qualcuno stava barando. Doveva essere così, e dalle parole si passò ben presto alle mani, e con tutto quel fuoco in corpo con il suo addestramento incompleto senza contare l'inferiorità numerica ebbe facilmente la peggio...
C'era un solo posto dove un derelitto poteva trovare riparo e un pasto caldo in quella notte da lupi: all'ospitale nel quartiere del tempio.
Il quartiere era uno dei pochi che ancora mostrava i segni delle guerre del passato, ai quali si erano aggiunti i danni causati dagli sgherri del Culto del Drago l'anno prima. Al Duca di Arcata non sembrava importare molto del crescente numero di rifugiati di ben due guerre, ma la Chiesa di Ilmater poteva perlomeno contare sul favore del Re e in qualche modo riusciva a convincere la nobiltà a fare il minimo necessario.
Fece la fila come gli altri davanti al paiolo di fratello Pavel, cercando di nascondere un poco il volto dietro quei capelli luridi che aveva, ma lo sguardo colmo di rimprovero del vecchio sacerdote lasciava intendere che l'avesse riconosciuto benissimo. Tuttavia come al solito non ebbe da dirgli altro se non una benedizione, versando la zuppa nella ciotola.
Sedendosi nella mensa notò da subito che il vecchio Gorsk, che era solito sedersi di fronte a lui quando era lì, era malconcio più di lui.
Chiese chi avrebbe potuto prendersela con un semplice lustrascarpe come lui e poco dopo ottenne il nome di un brutto ceffo tristemente noto nel quartiere per accettare i lavori più spregevoli, spesso al soldo delle bande. Questa volta aveva fatto lo sbaglio di prendersela con chi era colpevole soltanto di aver ricevuto qualche moneta d’oro in più da un mercante di passaggio. Non capitava spesso e qualcuno deve averlo notato in quel momento, invidiando chissà quale fortuna.
Più tardi quella notte, decise di seguire il malvivente fino a casa sua, dopo che ebbe finito di riscuotere i debiti di un altro abitante, per fortuna senza incidenti, tirò su il bavero del cappuccio di stracci e non appena aprì la porta gli fu addosso.
Non ebbe il tempo di voltarsi a guardare che un calcio lo spinse all’interno della sua stamberga contro un tavolo al centro della stanza. Sapeva che avrebbe dovuto stenderlo prima che tirasse fuori il suo pugnale e non gli diede tregua, continuando a colpirlo mentre era su di lui a terra.
Quando delle grida inaspettate provenienti dalle scale lo sorpresero e vide un bambino stretto tra le braccia di sua madre. Erano immobilizzati dallo spavento, ma fu una distrazione sufficiente.
Una fitta gelida all’addome lo riportò con i piedi per terra, strinse la presa sul polso dell’uomo prima che estraesse la lama dalla sua carne e sferrò un ultimo colpo stordente al suo avversario, prima di trascinarsi in strada più veloce che poteva, premendo sulla ferita.
Perse i sensi in un vicolo alcuni minuti dopo, crollando sul manto di neve che ricopriva la strada.
Rinvenne in preda agli incubi, come non gli capitava da tempo dopo l’attacco al Monastero, riaprendo gli occhi e gridando come se si trovasse di nuovo davanti a quell’inferno, con i corpi dei suoi fratelli sepolti dalle macerie o bruciati dal fuoco di drago, riusciva quasi a sentire l’odore delle carni annerite.
Poi la voce rassicurante del guaritore Pavel gli fece capire che era in salvo, nell’infermeria del tempio, di nuovo.
Al sacerdote non piacevano neanche un po’ le sue uscite da vigilante nel quartiere, e ogni notte pregava il Piangente di ricondurlo sulla retta via.
Ormai era più di un anno che arrancava a quel modo nello squallore e nemmeno la Caduta del Re Stregone era riuscita ad alleviare il dolore che la sua campagna di terrore aveva inflitto a lui e molti altri come lui. E non c’era alcun conforto nella fede in un Dio che non era riuscito a salvare i suoi confratelli, solo la vergogna di un sopravvissuto in fuga da sé stesso per essere stato così codardo.
Ma cosa potevano calci e pugni contro le scaglie e gli artigli di creature del genere? Il ragazzo che un giorno sognava di combattere al fianco di valorosi cavalieri come Re Gareth quasi non esisteva più.
E poi accadde …
Ivor si sveglia con la faccia nel fango, l'odore del vomito che ancora impregna le sue narici e il sapore del sangue che gli impasta la bocca. Fiocchi di neve si posano con gentilezza sulla faccia contusa, ma sapeva quel sollievo si sarebbe presto trasformato in un pericolo mortale: non era il caso di passare la notte all'aperto.
Mentre rimetteva insieme i pezzi della sua memoria annebbiata qualche ora prima, sentiva ancora alle sue spalle risa di scherno e spacconerie di chi lo aveva ridotto così.
Sputò sulla soglia della bettola, di sicuro non era più il benvenuto là e così si incamminò per i vicoli che si ricoprivano lentamente di bianco.
Un altro di quei "ricchi bastardi", probabilmente il proprietario di una qualche concessione mineraria, era davanti alla porta di lei. Sapeva che non poteva farci nulla ormai, spalleggiato com'era dalle sue guardie personali fuori dalla stanza dopo l'ultima volta. Inoltre lei non avrebbe apprezzato l'interferenza nel suo discutibile lavoro...
Così se ne tornò di sotto al bancone, cercando di affogare i dispiaceri con qualcosa di forte.
Aveva già alzato di molto il gomito per un piccolo ometto pelle e ossa come lui, quando la sua attenzione venne catturata dalla persone sedute al tavolo vicino, sul quale luccicavano mucchietti di monete d'oro passate facilmente di mano in mano, come le carte da gioco che ne decidevano la sorte.
Per un lungo momento rimase lì a fissarli, prima che la malsana idea che se avesse avuto fortuna per una volta nella vita forse le cose sarebbero andate meglio per lui e la "sua donna" avrebbe potuto smettere di vendersi in quel posto schifoso.
Così si sedette a quel tavolo , posando il magro borsello in cui c'era quanto rimaneva della paga di bracciante dopo l'ultimo mese di fatiche nei campi, ormai spogli per l'inverno appena arrivato.
Neanche a dirlo iniziò a perdere, e scolandosi quel che restava nella bottiglia si convinse sempre di più che qualcuno stava barando. Doveva essere così, e dalle parole si passò ben presto alle mani, e con tutto quel fuoco in corpo con il suo addestramento incompleto senza contare l'inferiorità numerica ebbe facilmente la peggio...
C'era un solo posto dove un derelitto poteva trovare riparo e un pasto caldo in quella notte da lupi: all'ospitale nel quartiere del tempio.
Il quartiere era uno dei pochi che ancora mostrava i segni delle guerre del passato, ai quali si erano aggiunti i danni causati dagli sgherri del Culto del Drago l'anno prima. Al Duca di Arcata non sembrava importare molto del crescente numero di rifugiati di ben due guerre, ma la Chiesa di Ilmater poteva perlomeno contare sul favore del Re e in qualche modo riusciva a convincere la nobiltà a fare il minimo necessario.
Fece la fila come gli altri davanti al paiolo di fratello Pavel, cercando di nascondere un poco il volto dietro quei capelli luridi che aveva, ma lo sguardo colmo di rimprovero del vecchio sacerdote lasciava intendere che l'avesse riconosciuto benissimo. Tuttavia come al solito non ebbe da dirgli altro se non una benedizione, versando la zuppa nella ciotola.
Sedendosi nella mensa notò da subito che il vecchio Gorsk, che era solito sedersi di fronte a lui quando era lì, era malconcio più di lui.
Chiese chi avrebbe potuto prendersela con un semplice lustrascarpe come lui e poco dopo ottenne il nome di un brutto ceffo tristemente noto nel quartiere per accettare i lavori più spregevoli, spesso al soldo delle bande. Questa volta aveva fatto lo sbaglio di prendersela con chi era colpevole soltanto di aver ricevuto qualche moneta d’oro in più da un mercante di passaggio. Non capitava spesso e qualcuno deve averlo notato in quel momento, invidiando chissà quale fortuna.
Più tardi quella notte, decise di seguire il malvivente fino a casa sua, dopo che ebbe finito di riscuotere i debiti di un altro abitante, per fortuna senza incidenti, tirò su il bavero del cappuccio di stracci e non appena aprì la porta gli fu addosso.
Non ebbe il tempo di voltarsi a guardare che un calcio lo spinse all’interno della sua stamberga contro un tavolo al centro della stanza. Sapeva che avrebbe dovuto stenderlo prima che tirasse fuori il suo pugnale e non gli diede tregua, continuando a colpirlo mentre era su di lui a terra.
Quando delle grida inaspettate provenienti dalle scale lo sorpresero e vide un bambino stretto tra le braccia di sua madre. Erano immobilizzati dallo spavento, ma fu una distrazione sufficiente.
Una fitta gelida all’addome lo riportò con i piedi per terra, strinse la presa sul polso dell’uomo prima che estraesse la lama dalla sua carne e sferrò un ultimo colpo stordente al suo avversario, prima di trascinarsi in strada più veloce che poteva, premendo sulla ferita.
Perse i sensi in un vicolo alcuni minuti dopo, crollando sul manto di neve che ricopriva la strada.
Rinvenne in preda agli incubi, come non gli capitava da tempo dopo l’attacco al Monastero, riaprendo gli occhi e gridando come se si trovasse di nuovo davanti a quell’inferno, con i corpi dei suoi fratelli sepolti dalle macerie o bruciati dal fuoco di drago, riusciva quasi a sentire l’odore delle carni annerite.
Poi la voce rassicurante del guaritore Pavel gli fece capire che era in salvo, nell’infermeria del tempio, di nuovo.
Al sacerdote non piacevano neanche un po’ le sue uscite da vigilante nel quartiere, e ogni notte pregava il Piangente di ricondurlo sulla retta via.
Ormai era più di un anno che arrancava a quel modo nello squallore e nemmeno la Caduta del Re Stregone era riuscita ad alleviare il dolore che la sua campagna di terrore aveva inflitto a lui e molti altri come lui. E non c’era alcun conforto nella fede in un Dio che non era riuscito a salvare i suoi confratelli, solo la vergogna di un sopravvissuto in fuga da sé stesso per essere stato così codardo.
Ma cosa potevano calci e pugni contro le scaglie e gli artigli di creature del genere? Il ragazzo che un giorno sognava di combattere al fianco di valorosi cavalieri come Re Gareth quasi non esisteva più.
E poi accadde …
"I live...AGAIN!"
IVOR CHERNOV (e JASSIN OAKSTAFF)