23-12-2017, 21:13
XLII
Non aveva mia pensato a quell'eventualità. Era talmente abituato a prenderle e a sfiorare la morte così tante volte che la mente aveva deciso di non soffermarsi più su determinate poco probabili conseguenze.
In battaglia un combattente poteva perdere con più probabilità una mano, un braccio, l'uso delle gambe, qualche dito, i denti. Alcuni perdevano anche il naso. O la lingua. Altri ancora anche un occhio.
Poi ovviamente c'era chi perdeva anche la vita.
Ma la possibilità, anzi, il rischio di diventare cieco, di perdere così di punto in bianco la vista non rientrava nei più prossimi timori del ruathen.
Il nero più completo e assoluto. Ancor più oscuro del niente che l'aveva inghiottito nel deserto dell'Anauroch. Lì per lo meno, di tanto in tanto, c'era Selune con le sue lacrime che rischiaravano tenuemente il paesaggio.
Ma qua non c'era sole che potesse sorgere ad illuminare un bel niente.
Non c'era Selune a dare un barlume di chiarore e falsa speranza.
Non c'era assolutissimamente niente, neanche l'ombra di una misera scintilla.
C'erano le immagini dei ricordi, quelle furono le prime a risalire a galla come fossero pozze d'acqua limpida in un'oasi sperduta nel deserto più dimenticato.
E ovviamente solo in quel momento, in quello stato così debilitante, Sturm aveva capito quanto dipendesse dalla vista. Vista e udito. A Ruathym erano essenziali per la caccia e per la sopravvivenza nei giorni di magra trascorsi tra le impervie montagne o durante le burrasche di mare.
Il nulla era divenuto il suo peggior nemico. Un nemico astratto ed implacabile, nonchè dannatamente subdolo. Era perso, completamente perso. Così intimorito da quella condizione che non riusciva a ragionare. Rabbia e paura si mischiavano tra loro in un vortice sempre più distruttivo che stava mandando il guerriero fuori di testa. Perdere le mani sarebbe stato peggio? Potevano essere sostituite da protrusioni meccaniche di foggia gnomica, nanica od orchesca. O chissà di quale altra diavolo di cultura. Per le gambe il discorso era lo stesso.
La lingua? Poteva benissimo evitare di parlare.
Ma gli occhi? Come si poteva ingannare la cecità?
Poteva udire il seducente sussurro della mezzelfa nell'orecchio: «Sai Sturm, l'oscurità è anche questa. L'oscurità dà, ma soprattutto, l'oscurità toglie. Rispettala sempre, temila».
Berrion sicuramente gli avrebbe detto di appellarsi agli altri sensi e Jaeht gli avrebbe annuito appresso. Ma quanto tempo poteva volerci perchè Sturm potesse sviluppare maggiormente tutti gli altri sensi?
Si riteneva poi un uomo, un ragazzo, fin troppo passionale, che si cibava di ciò che vedeva, saziandosene. I paesaggi. Le feste. Le autentiche meraviglie. Le magie.
Le mattanze. Il sangue. Le proprie ferite.
Se stesso.
Le donne nude.
Per sedarlo Derek gli aveva somministrato un sonnifero, spacciandolo per sicura soluzione alla vista. Sturm s'era addormentato seduto sul letto, con addosso tutta l'armatura. Il capo pesante, ciondolante in avanti, con la celata che cigolava ad ogni profondo respiro.
Al risveglio, se così si poteva considerarlo, Sturm era rimasto spaesato.
Non che ci fosse differenza tra sonno e veglia ormai, sembravano la stessa identica cosa. Nero per nero. Sogno o immagini date dai ricordi?
Non osò muoversi dal letto ma piuttosto mosse le braccione a slacciare le cinghie dell'armatura. Movimenti lenti, compiuti a memoria, tocco per tocco.
«Idrial. Io ti maledico con tutto me stesso» fu il sussurro rabbioso di un condannato raugh ruathen.
Com'era temibile la pura bellezza.