29-10-2024, 16:28
Myrtul 1399
Cari lettori, è giunto il momento - fin troppo a lungo rimandato - di esprimere pubblicamente il mio pensiero sulla schiavitù, una pratica radicata nella legge e nella cultura di Hillsfar. Come i lettori sapranno, sono nata e cresciuta a Procampur, nella Distesa - una città che rifugge la schiavitù, a tal punto che ogni schiavo condotto in città viene automaticamente considerato libero. Nel Faerun, moltissime città e regni prosperano e si arricchiscono senza ricorrere alla schiavitù - Waterdeep, Neverwinter, il Cormyr, il Tethyr, e le città della Distesa come la già citata Procampur, Raven's Bluff, Tantras.
E' mia opinione che, come società, dovremmo porci una domanda fondamentale: in base a quale diritto ognuno di noi può dirsi giustificato nel rendere schiava un'altra persona? Se A può provare, a rigor di logica e oltre ogni ragionevole dubbio, di poter legittimamente rendere schiavo B, perché B non potrebbe utilizzare le medesime argomentazioni, ribaltandole per provare che, in vero, è lui a potere trarre in schiavitù A?
Potreste dire, dipende dalla provenienza - A è di Hillsfar, e B è uno straniero. E' il luogo in cui si nasce a renderci superiore a qualcun altro, dunque? Badate bene: chiunque potrebbe decidere che un individuo non nato nella propria città meriti di essere ridotto in schiavitù.
Forse vorrete parlare di intelletto, di istruzione. Sostenete che le persone di intelletto superiore possano trarre in schiavitù quelle di intelletto inferiore? Di nuovo, prestate attenzione. In base a questa regola, sareste voi ad essere schiavi del primo individuo che incontrerete, che abbia un intelletto superiore al vostro.
Forse vogliamo parlare di denaro; sostenete che le persone più ricche, con maggiori possibilità, abbiano il diritto di trarre in schiavitù quelle più povere? Significherebbe per voi la possibilità di essere resi schiavi da chiunque sia più ricco di voi.
Un'argomentazione che ho sentito sovente è quella che sostiene che gli schiavi, a Hillsfar, vivano meglio di come non faccia la povera gente in altre parti del Faerun - una vedova a Waterdeep, un mutilato a Neverwinter, un indigente a Suzail, per fare degli esempi. Al di là del fatto che ciò - come spiegherà meglio il paragrafo successivo - è estremamente dipendente dal buon cuore del padrone, e nient'affatto una garanzia, quale città può dirsi prospera e ricca se per proteggere i propri abitanti dall'indigenza deve ridurli in schiavitù? Sarebbe come dire che un individuo trasformato in pietra se la passi meglio di uno che soffre la fame, non essendo il primo ormai più toccato dalle necessità materiali: tecnicamente vero, eppure nessuno suggerirebbe di ingaggiare un esercito di maghi per trasformare la gente in pietra, come rimedio per una carestia.
La legge di Hillsfar, direte voi, protegge gli schiavi: non possono essere uccisi né mutilati, e per il padrone è obbligatorio fornire loro vitto e alloggio "adeguati" (anche se non è precisato cosa ciò voglia dire), e mezza giornata di riposo ogni dieci giorni.
Eppure, nessuna legge stabilisce che gli schiavi non possano essere picchiati e sottoposti a sevizie fisiche - basta che non abbiano una mutilazione permanente.
Nessuna legge stabilisce che gli schiavi non possano essere oggetto di violenza carnale.
Nessuna legge stabilisce che gli schiavi non possano essere condizionati mentalmente, insultati, degradati giorno dopo giorno finché non smetteranno anche solo di vedere la libertà come qualcosa di possibile.
Nessuna legge stabilisce che abbiano diritto ad avere una famiglia, anzi - i figli delle schiave sono anch'essi schiavi, e come tali possono essere venduti e separati dalle loro madri.
Nessuna legge stabilisce che abbiano diritto alla dignità di un nome.
Gli schiavi possono essere addirittura regalati, costringendo coloro che aborriscono questa pratica a farne parte, proprio come è successo a me. Sebbene la mia provenienza - così come la mia posizione su questo argomento - non siano mai stati un segreto, mi sono ritrovata - contro la mia volontà - ad essere proprietaria e responsabile di due schiavi, sottoposti non solo a un forte condizionamento mentale (perfettamente legale) e a un incanto volto a piegarne ulteriomente la mente (anche questo, perfettamente legale), ma anche privi della più banale dignità che ci distingue dagli animali, quella di un nome: per proteggere ciò che rimane del loro decoro e riservatezza, dirò solo che a loro sono stati imposti nomi di oggetti, e che tale è il modo in cui sono stati privati di ogni volontà propria che, seppur invitati ripetutamente a farlo, non hanno voluto indicare - o scegliere - un altro nome per riferirsi a loro stesso. Tale è il modo in cui è stata inculcata in loro una vita di servitù, che quando - non volendo sfruttare il loro lavoro e la loro persona - ho rifiutato di assegnare loro degli incarichi, hanno iniziato a soffrirne e a ferirsi fisicamente.
Direte voi, ma non tutti i padroni trattano così i loro schiavi. Anzi, sono convinta che la maggior parte di coloro che, tra i lettori di questo giornale, possiedono schiavi siano inorriditi all'idea di negare loro un nome, all'idea di violarli nel corpo e nello spirito. Eppure, tutto ciò che ho descritto è avvenuto alla luce del sole, nella legalità. Quando si dà ad un individuo il potere di rendere schiavo un altro individuo, di renderlo alla propria mercé, non si può prevedere a priori cosa farà con tale potere. Ogni gentilezza, ogni premura che riceverà non sarà risultato di un diritto ma dell'aleatoria volontà del padrone.
Direte voi, allora basterebbe dare ulteriori diritti agli schiavi. Ma dare agli schiavi tutti i diritti delle persone libere - diritto di scegliere il proprio nome, il proprio mestiere, i propri affetti, diritto all'integrità fisica e mentale - non significherebbe forse renderli liberi?
Se c'è una cosa che i miei anni a Hillsfar mi hanno insegnato, è che il problema della schiavitù è di difficile soluzione. Dal punto di vista meramente economico, non è certo possibile dire agli abitanti di Hillsfar "Vedi quel bene che hai comprato legalmente? Te lo toglieremo, senza alcun risarcimento" - né sarebbe possibile per le casse cittadine risarcire ciascun padrone. Dal punto di vista sociale, gli schiavi liberati si troverebbero improvvisamente per strada, privi di una casa e dei mezzi per sostentarsi - privi di una quotidianità che, per quanto sbagliata e priva di libertà, molto spesso rappresenta l'unica che conoscono. Tuttavia, una soluzione va trovata.
Ho visto con i miei occhi schiavi rifiutare l'offerta di essere liberati, preferendo tornare da un padrone che li picchiava piuttosto che esporsi all'incertezza, ai rischi di una vita da persone libere. Ho visto schiavi così spezzati nella mente e nella volontà da non volere nemmeno la libertà. Si tratta dei frutti di un albero malato che vede alcuni individui prevaricare sugli altri per diritto di nascita o di conquista, non per crimini, non per meriti. E quando l'albero è malato, è necessario abbatterlo.
E se non è possibile abbatterlo tutto in una volta, si possono almeno fare dei passi avanti: garantire la libertà ai figli e alle figlie di schiavi, impedire la vendita e l'importazione di nuovi schiavi. Non sarà ideale, non sarà immediato, ma sarà indubbiamente un passo nella giusta direzione.
La schiavitù a Hillsfar è una tradizione, così come lo è stata la Grande Legge dell'Umanità sotto Maalthiir; e così come ci siamo liberati di quest'ultima, dobbiamo adesso porre il nostro sguardo verso la prima. Non sarà semplice, non sarà immediato e indubbiamente ci sarà la necessità di un periodo di transizione; ma bisogna iniziare a percorrere questa via, affinché Hillsfar possa prendere il posto che le spetta tra le grandi metropoli del Faerun, al pari di Waterdeep, Suzail, Neverwinter.
Discorso sulla schiavitù
di Daphne Hargrave
Cari lettori, è giunto il momento - fin troppo a lungo rimandato - di esprimere pubblicamente il mio pensiero sulla schiavitù, una pratica radicata nella legge e nella cultura di Hillsfar. Come i lettori sapranno, sono nata e cresciuta a Procampur, nella Distesa - una città che rifugge la schiavitù, a tal punto che ogni schiavo condotto in città viene automaticamente considerato libero. Nel Faerun, moltissime città e regni prosperano e si arricchiscono senza ricorrere alla schiavitù - Waterdeep, Neverwinter, il Cormyr, il Tethyr, e le città della Distesa come la già citata Procampur, Raven's Bluff, Tantras.
E' mia opinione che, come società, dovremmo porci una domanda fondamentale: in base a quale diritto ognuno di noi può dirsi giustificato nel rendere schiava un'altra persona? Se A può provare, a rigor di logica e oltre ogni ragionevole dubbio, di poter legittimamente rendere schiavo B, perché B non potrebbe utilizzare le medesime argomentazioni, ribaltandole per provare che, in vero, è lui a potere trarre in schiavitù A?
Potreste dire, dipende dalla provenienza - A è di Hillsfar, e B è uno straniero. E' il luogo in cui si nasce a renderci superiore a qualcun altro, dunque? Badate bene: chiunque potrebbe decidere che un individuo non nato nella propria città meriti di essere ridotto in schiavitù.
Forse vorrete parlare di intelletto, di istruzione. Sostenete che le persone di intelletto superiore possano trarre in schiavitù quelle di intelletto inferiore? Di nuovo, prestate attenzione. In base a questa regola, sareste voi ad essere schiavi del primo individuo che incontrerete, che abbia un intelletto superiore al vostro.
Forse vogliamo parlare di denaro; sostenete che le persone più ricche, con maggiori possibilità, abbiano il diritto di trarre in schiavitù quelle più povere? Significherebbe per voi la possibilità di essere resi schiavi da chiunque sia più ricco di voi.
Un'argomentazione che ho sentito sovente è quella che sostiene che gli schiavi, a Hillsfar, vivano meglio di come non faccia la povera gente in altre parti del Faerun - una vedova a Waterdeep, un mutilato a Neverwinter, un indigente a Suzail, per fare degli esempi. Al di là del fatto che ciò - come spiegherà meglio il paragrafo successivo - è estremamente dipendente dal buon cuore del padrone, e nient'affatto una garanzia, quale città può dirsi prospera e ricca se per proteggere i propri abitanti dall'indigenza deve ridurli in schiavitù? Sarebbe come dire che un individuo trasformato in pietra se la passi meglio di uno che soffre la fame, non essendo il primo ormai più toccato dalle necessità materiali: tecnicamente vero, eppure nessuno suggerirebbe di ingaggiare un esercito di maghi per trasformare la gente in pietra, come rimedio per una carestia.
La legge di Hillsfar, direte voi, protegge gli schiavi: non possono essere uccisi né mutilati, e per il padrone è obbligatorio fornire loro vitto e alloggio "adeguati" (anche se non è precisato cosa ciò voglia dire), e mezza giornata di riposo ogni dieci giorni.
Eppure, nessuna legge stabilisce che gli schiavi non possano essere picchiati e sottoposti a sevizie fisiche - basta che non abbiano una mutilazione permanente.
Nessuna legge stabilisce che gli schiavi non possano essere oggetto di violenza carnale.
Nessuna legge stabilisce che gli schiavi non possano essere condizionati mentalmente, insultati, degradati giorno dopo giorno finché non smetteranno anche solo di vedere la libertà come qualcosa di possibile.
Nessuna legge stabilisce che abbiano diritto ad avere una famiglia, anzi - i figli delle schiave sono anch'essi schiavi, e come tali possono essere venduti e separati dalle loro madri.
Nessuna legge stabilisce che abbiano diritto alla dignità di un nome.
Gli schiavi possono essere addirittura regalati, costringendo coloro che aborriscono questa pratica a farne parte, proprio come è successo a me. Sebbene la mia provenienza - così come la mia posizione su questo argomento - non siano mai stati un segreto, mi sono ritrovata - contro la mia volontà - ad essere proprietaria e responsabile di due schiavi, sottoposti non solo a un forte condizionamento mentale (perfettamente legale) e a un incanto volto a piegarne ulteriomente la mente (anche questo, perfettamente legale), ma anche privi della più banale dignità che ci distingue dagli animali, quella di un nome: per proteggere ciò che rimane del loro decoro e riservatezza, dirò solo che a loro sono stati imposti nomi di oggetti, e che tale è il modo in cui sono stati privati di ogni volontà propria che, seppur invitati ripetutamente a farlo, non hanno voluto indicare - o scegliere - un altro nome per riferirsi a loro stesso. Tale è il modo in cui è stata inculcata in loro una vita di servitù, che quando - non volendo sfruttare il loro lavoro e la loro persona - ho rifiutato di assegnare loro degli incarichi, hanno iniziato a soffrirne e a ferirsi fisicamente.
Direte voi, ma non tutti i padroni trattano così i loro schiavi. Anzi, sono convinta che la maggior parte di coloro che, tra i lettori di questo giornale, possiedono schiavi siano inorriditi all'idea di negare loro un nome, all'idea di violarli nel corpo e nello spirito. Eppure, tutto ciò che ho descritto è avvenuto alla luce del sole, nella legalità. Quando si dà ad un individuo il potere di rendere schiavo un altro individuo, di renderlo alla propria mercé, non si può prevedere a priori cosa farà con tale potere. Ogni gentilezza, ogni premura che riceverà non sarà risultato di un diritto ma dell'aleatoria volontà del padrone.
Direte voi, allora basterebbe dare ulteriori diritti agli schiavi. Ma dare agli schiavi tutti i diritti delle persone libere - diritto di scegliere il proprio nome, il proprio mestiere, i propri affetti, diritto all'integrità fisica e mentale - non significherebbe forse renderli liberi?
Se c'è una cosa che i miei anni a Hillsfar mi hanno insegnato, è che il problema della schiavitù è di difficile soluzione. Dal punto di vista meramente economico, non è certo possibile dire agli abitanti di Hillsfar "Vedi quel bene che hai comprato legalmente? Te lo toglieremo, senza alcun risarcimento" - né sarebbe possibile per le casse cittadine risarcire ciascun padrone. Dal punto di vista sociale, gli schiavi liberati si troverebbero improvvisamente per strada, privi di una casa e dei mezzi per sostentarsi - privi di una quotidianità che, per quanto sbagliata e priva di libertà, molto spesso rappresenta l'unica che conoscono. Tuttavia, una soluzione va trovata.
Ho visto con i miei occhi schiavi rifiutare l'offerta di essere liberati, preferendo tornare da un padrone che li picchiava piuttosto che esporsi all'incertezza, ai rischi di una vita da persone libere. Ho visto schiavi così spezzati nella mente e nella volontà da non volere nemmeno la libertà. Si tratta dei frutti di un albero malato che vede alcuni individui prevaricare sugli altri per diritto di nascita o di conquista, non per crimini, non per meriti. E quando l'albero è malato, è necessario abbatterlo.
E se non è possibile abbatterlo tutto in una volta, si possono almeno fare dei passi avanti: garantire la libertà ai figli e alle figlie di schiavi, impedire la vendita e l'importazione di nuovi schiavi. Non sarà ideale, non sarà immediato, ma sarà indubbiamente un passo nella giusta direzione.
La schiavitù a Hillsfar è una tradizione, così come lo è stata la Grande Legge dell'Umanità sotto Maalthiir; e così come ci siamo liberati di quest'ultima, dobbiamo adesso porre il nostro sguardo verso la prima. Non sarà semplice, non sarà immediato e indubbiamente ci sarà la necessità di un periodo di transizione; ma bisogna iniziare a percorrere questa via, affinché Hillsfar possa prendere il posto che le spetta tra le grandi metropoli del Faerun, al pari di Waterdeep, Suzail, Neverwinter.