03-11-2018, 23:44
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 04-11-2018, 17:50 da Cloudless.)
"We're nothing, and nothing will help us.
Maybe we're lying, then you better not stay.
But we could be safer
Oh, just for one day."
Maybe we're lying, then you better not stay.
But we could be safer
Oh, just for one day."
Da bambino non mi accorgevo di tutti gli schiavi nella mia terra natale. Credevo fossero semplicemente servitori - i loro abiti e il loro aspetto, quando li vedevo nei palazzi di un nobile o di un funzionario, suggerivano che fossero ben pagati e ben nutriti.
Un giorno, a una festa, chiesi a mia madre perché i servitori non ridessero e non si unissero alle danze. Mi sorrise incerta, gli occhi velati da una leggera tristezza, e mi rispose che era "perché certe cose richiedono tempo".
Non avevo ancora dieci anni, e tanto mi bastò per non pensarci più. A posteriori capisco perché la sua risposta fu così deliberatamente vaga.
Immagino che ciò che distingue davvero la libertà dalla schiavitù non sia ciò che si fa, ma il volerlo fare o meno.
Perché, a volte, la libertà si presenta nascosta dietro maschere apparentemente incomprensibili.
La maschera di qualcuno che baratta ciò che rimane della sua esistenza per la propria personale idea di integrità; la maschera di chi si condanna a una lotta persa in partenza semplicemente perché è la cosa giusta da fare; la maschera di chi sceglie di restare accanto a qualcuno anche se persino questo qualcuno prova a dissuaderlo.
Più tempo passo nelle Valli, più mi rendo conto di voler ancora salvare la mia terra - ma di non volerci tornare. Non ho mai conosciuto la libertà come l'ho conosciuta qui. Combattevo per essa, ma senza poterla afferrare. E anche quella guerra che ha riempito e plasmato i miei anni mi fu imposta dalle circostanze, non fu mai una mia scelta.
La differenza più grande tra dov'ero e dove sono ora non è una vita di guerra contrapposta a una pacifica - è che qui posso scegliere le mie battaglie.
E nel silenzio di un abbraccio insperato e di un sorriso sincero, l'ho fatto.
Un giorno, a una festa, chiesi a mia madre perché i servitori non ridessero e non si unissero alle danze. Mi sorrise incerta, gli occhi velati da una leggera tristezza, e mi rispose che era "perché certe cose richiedono tempo".
Non avevo ancora dieci anni, e tanto mi bastò per non pensarci più. A posteriori capisco perché la sua risposta fu così deliberatamente vaga.
Immagino che ciò che distingue davvero la libertà dalla schiavitù non sia ciò che si fa, ma il volerlo fare o meno.
Perché, a volte, la libertà si presenta nascosta dietro maschere apparentemente incomprensibili.
La maschera di qualcuno che baratta ciò che rimane della sua esistenza per la propria personale idea di integrità; la maschera di chi si condanna a una lotta persa in partenza semplicemente perché è la cosa giusta da fare; la maschera di chi sceglie di restare accanto a qualcuno anche se persino questo qualcuno prova a dissuaderlo.
Più tempo passo nelle Valli, più mi rendo conto di voler ancora salvare la mia terra - ma di non volerci tornare. Non ho mai conosciuto la libertà come l'ho conosciuta qui. Combattevo per essa, ma senza poterla afferrare. E anche quella guerra che ha riempito e plasmato i miei anni mi fu imposta dalle circostanze, non fu mai una mia scelta.
La differenza più grande tra dov'ero e dove sono ora non è una vita di guerra contrapposta a una pacifica - è che qui posso scegliere le mie battaglie.
E nel silenzio di un abbraccio insperato e di un sorriso sincero, l'ho fatto.