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[Dyane A.] Sinfonie mutevoli
#11
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La superficie del laghetto è così immobile da apparirmi solida, quasi fosse metallo scuro percorso da leggeri bagliori argentei. La notte è prossima al termine e sono rimasta sola, ma non ho voglia di andarmene da questa oasi di silenzio.

Fisso le aque nere e le immagino tingersi di cremisi. Una macchia sanguigna oleosa, che si espande e poi sprofonda verso gli inesplorati abissi, dando in pasto all'oscurità ciò che stoltamente ambiva alla luce.
Invece l'argento rimane immutato, beffardo e sfrontato, offendendo il mio sguardo che anela a una nera quiete.
Il pugnale inviolato, la mia mano scevra dall'onta, soltanto per questa notte.

Non so quanto tempo sia passato, una sottile brezza si alza mentre il cielo inizia a schiarire nell'indistinta linea in cui incontra il suolo, da qualche parte oltre le dolci sagome delle colline.
Ma io ancora osservo il lago e penso. Penso in continuazione, sento in continuazione. Ma il mio pensiero è privo di emozione.

Lentamente lascio che la mia ombra si allunghi verso la riva, soltanto nella mia immaginazione, e da una botola situata in cima inizio a precipitare verso lo spazio infinito, in una caduta senza direzione, vuota.
La mia anima è un buco nero, una vasta vertigine intorno al niente, un movimento di un oceano senza confini intorno ad una fossa nel nulla. E nelle acque, che più che acque sono turbini, galleggiano le immagini di ciò che ho visto e sentito nel mondo: vorticano case, volti, libri, echi di musiche e spezzoni di voci in un turbine sinistro e senza fondo.

E io, proprio io, sono il centro che esiste soltanto per una geometria dell’abisso, sono il nulla intorno a cui questo movimento gira, fine a sè stesso.
Sono io il pozzo senza pareti, che pur oppone resistenza come se ne avesse. Sono io il centro del tutto, con il nulla intorno.

Un raggio di sole mi sfiora il volto costringendomi a riemergere dalle profondità del lago della mia mente. E' uno strattone violento che mi dilania e mi scaraventa sul palcoscenico che sono costretta a calcare anche quando vorrei solo poter scomparire. Le luci di scena mi bruciano le iridi ma la maschera non cola mai via.
Del resto in cosa posso contare se non su me stessa? Su quel terribile acume di sensazioni che così di rado riesco a provare, su un’intelligenza acuta pronta a distruggermi, e un potere di sogno desideroso di distrarmi.


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Mi alzo e sfido l'alba come fosse l'ultimo baluardo incrollabile della mia volontà che si pianta granitica contro il mondo, affondando le radici nella terra arida come un albero morto e senza germogli che tuttavia prospera.
Ripenso alle sue parole di poche ore fa, a quella voce che non sentivo da troppi anni e che a stento ricordavo. La sua figura a malapena familiare che lentamente si distorce e si riplasma costringendomi a rivedere lei: l'unica donna che temo ed amo, la madre spietata di ciò che la vita mi ha reso.

Lentamente ricollego gli avvenimenti degli ultimi giorni, gli incontri più insignificanti, gli sguardi per strada, ed inciampo al pensiero di Trevor che si insinua estraneo in queste riflessioni. Un brivido lungo la schiena mi costringe a muovermi a raccogliere le mie cose e incamminarmi verso il sentiero, come se potessi scappare da quello sguardo che sembra vedere ogni cosa.

Respiro a fondo e lascio che la mia mente torni su di lei: un solido appiglio nella notte che mai passa, una nuova linfa che forse potrà ridarmi quella sensazione di incrollabilità che solo Shayla sapeva creare.

Le sue parole sono come musica liquida che scivola sulla pelle dissetando l'anima avvizzita. D'un tratto il controllo assoluto mi sembra nuovamente possibile, la smania decresce e il bisogno distruttivo viene incanalato con tanta semplicità.
L'orlo del precipizio è sempre lì, ma ora posso allontanarmi e riderne come la più folle delle funambole che non teme vertigine.

Anche i dubbi sbiadiscono, e il terrore di sbagliare di nuovo, di lasciarmi troppo coinvolgere...Tutto è lontano.
La sensazione della sofferenza pura riaffiora nel silenzio di un’oscurità silenziosa ed avvolgente, ed io sono pronta ad affrontarla di nuovo, pronta a sublimare la perdita e ritrovare l'equilibrio che annulli l’inquietudine.

Seguo il sentiero verso Peldan, incrociando i primi carri di mercanti, ed inizio a ridere di cuore, una risata liberatoria e assolutamente priva di allegria.
Rido di me, persa per il mondo, e di lei che allunga la sua sinuosa e vorace ombra oltre il deserto, al di là delle montagne e dei mari, fino a qui, in queste valli sperdute dove una delle sue più riuscite creazioni annaspa nel fango.

Incrocio lo sguardo di un paio di contadini, affondo nella vacuità delle loro misere esistenze. Larve della dissipazione, vermi che provocano nausea alla stessa coscienza che li cresce.
Ma se mi concentro posso sentire il profumo delle essenze bruciate e le voci che affiorano dal mio passato.
Eccoli davanti a me in una tetra parata: i sentimenti più dolorosi, le emozioni più pungenti, l’ansia di cose impossibili e la tremenda nostalgia di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che avrebbe potuto essere, l’insoddisfazione per l’esistenza stessa del mondo.

Devo rimanere concentrata: c'è molto da portare a termine. Non posso fallire.


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Dyane Alfarham
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#12
~ Hap, Battledale ~

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C'è una luna pallida stasera. Batte i suoi colpi contro le tenebre, ansimando ad ogni passaggio di nuvole minacciose addensate sopra i tetti di quest'insignificante villaggio di provincia.

Cerco aria nuova e luoghi da scoprire, ma mi ritrovo tra gli stessi contadini e commercianti dalle ambizioni banali, immersa in un flusso di vite scontate e prevedibili. Eppure sono sicura che il viaggio non sia stato del tutto vano, perchè chi mi attende ha una mente brillante ed ambizioni allettanti.


Fare affari non è il mio forte, ma so leggere dentro le persone, so cogliere il fuoco nello sguardo di chi ha una mente lucida e spietata quanto basta per scavarsi una via spianata verso i propri scopi, più o meno leciti.
Interessi reciproci, non per forza condivisi ma piuttosto combacianti in un mosaico complesso ed affascinante.

Acconsento a far parte del gioco prima ancora di conoscerne tutte le regole. Sono sempre stata attratta da chi rompe gli schemi con mosse da astuto giocatore. Sono perfettamente cosciente di essere in grado di gestire una partita come questa.


* * * * * *

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Deboli fiammelle scoppiettano nel camino aggrappandosi ai residui di braci destinate a soffocarle. La piccola stanza sembra ancora più oppressiva ed incombente nella semioscurità. Una decorazione rudimentale e selvaggia che si trasforma in una foresta buia e fitta proiettata tutto intorno. Una tana perfetta per un predatore, e una prigione asfissiante per la vittima.


La notte affoga in un limbo di acqua putrida, macchiata dalla densità del sangue che persiste sulle labbra. Non si toglie, si attacca come bava di ragno alla pelle, e so che anche una volta lavato via persisterà quella sensazione di macchia indelebile.

Respiro l'aria satura e stantia, non ho quasi la forza di muovermi. Sfinita, svuotata, esangue...una sensazione che già conosco ma che assume connotazioni differenti.
Forse sono davvero una masochista come qualcuno ha osato sentenziare, o forse semplicemente adoro la sensazione del dolore che più si fa acuto e più tramortisce i sensi fino ad annullarli, nella meravigliosa consolazione di una vacuità intrisa di consapevolezza.

Più cerco di staccarmi dalle contingenze e più quel che mi circonda diventa parte di me. Si infiltra nella sensazione della carne e dell'esistenza, mi unisce forzatamente a ciò che mi è prossimo, imprigionandomi in un letto di morte lenta e insesorabile.

Ma mi rimane la notte. La notte che scava negli angoli remoti che abbiamo dimenticato, la notte in cui emergono rivelazioni terribili come geroglifici insensati di stelle nel buio.
La notte che mi lascia sfinita in questo letto a fissare le ombre allungarsi sul soffitto.

Lentamente il mio corpo si adatta a questa sensazione di morte apparente. Arrendevole, smetto di aggrapparmi alle ultime energie residue e mi lascio scivolare verso l'abbraccio ovattato dell'indebolimento che mi pervade.

Per un attimo penso che sia splendido scivolare così verso l'oblio. Potrei chiudere gli occhi e probabilmente sverrei per qualche ora, sparendo da questo mondo senza dovermene preoccupare.

Invece continuo a tenere gli occhi sbarrati verso il soffitto, tramortita ed inerme mi abbandono a una sorta di trance in cui rivedo immagini confuse sovrapporsi alle ombre reali.
E' un'ebbrezza simile a quella del vino, forse solo più dolorosa e perversa.

La rossa che incombe su di me come un predatore vorace e spietato, decisa a dominare la situazione in una danza selvaggia e violenta che sembra aver imparato a gestire con una naturalezza disarmante. E tra le righe della sua innata arroganza quegli spiragli di incertezza che sono riuscita ad instillarle.

L'odore intenso del sangue, il respiro che accelera e lo sguardo della cacciatrice così colmo di desideri, aspettative, sentimenti contrastanti e totalizzanti. Ne assaporo ogni sfumatura lasciando che il dolore fluisca attraverso il mio corpo ricordandomi quanto io sia diversa, condannata a dissetarmi delle emozioni altrui, incapace di provarne.

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La sua figura scattante e sottile che si staglia sopra di me diventa improvvisamente traslucida, sfuocata, si sdoppia e scompare, lasciando il posto ad un'ombra scura che mi fissa con occhi di fiamma, infernali.
Sento i sussurri distorti di una voce che non conosco sovrapporsi a quelli di lui. L'espressione trasfigurata d'odio, disperazione, frustrazione. Non ho modo di trattenerlo, siamo oltre il punto di non ritorno e posso solo lasciare che il buio fluisca, si abbatta con la forza di un uragano e si estingua, lasciandoci attoniti a rilfettere su ciò che siamo e ciò che abbiamo scelto per noi stessi. Pedine e burattinai al contempo, ma in un gioco alla pari, con tutte le carte scoperte.
La pelle conserva i segni ma è confuso il ricordo sinistro di cosa sia accaduto e come.
Una fiamma nera evanescente che sfuma verso il buio indistinto.

E in quel nero la notte, un cielo distante, trapuntato di immobili stelle pulsanti che gelide osservano il nostro bruliacare sulla terra.
Due occhi innocenti, grandi e scuri, che osservano quel cielo distante e se ne riempiono per gli anni a venire.


- Sarò lì quando crescerai, e l'oscurità ti avvolgerà il cuore riempendolo di domande. A tutte vi sarà un'unica risposta. -

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Dyane Alfarham
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#13
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~ Calimport, anni prima ~

C'è un tramonto insanguinato che allunga il suo abbraccio vermiglio verso le guglie più alte dei palazzi, intrufolandosi in riflessi cremisi tra le spesse mura di pietra porosa, logorata dalle tempeste di sabbia.
L'inusuale, l'esotico, il bizzarro, sono le carte scoperte con cui gioca da secoli l'antico Impero delle Sabbie.
Il quartiere del mercato è un posto trafficato, caotico. Negozi minuscoli e botteghe anguste si inseriscono in ogni vicolo nascosto, venditori ambulanti urlano dalle finestre e mercanti di ogni sorta si appostano con i loro carretti agli angoli delle strade. Ogni cosa, dai gioielli raffinati alla bigiotteria senza valore, dagli oggetti magici minori agli artefatti di alta qualità sono certamente reperibili a Calimport.

Ora che la sera si appresta a coprire il deserto con il suo soffio più mite e gradevole, la città inizia a rallentare convogliando i propri flussi verso luoghi più consoni agli affari della notte. Deboli lumi si accendono a centinaia nelle abitazioni addossate una all'altra in un immenso mosaico di vite intrecciate, dispiegate come una mappa consunta sotto un cielo affollato di stelle.

Mantengo il solito passo sostenuto ed evito di attirare l'attenzione più del dovuto. Tengo sottobraccio il fagotto con gli acquisti che mi sono stati commissionati e conto i passi nella mia mente, per stabilire quanti minuti di libertà ho ancora prima di rientrare senza destare sospetti.

Imbocco uno dei vicoli meno affollati e sbircio da sotto il cappuccio damascato verso le finestre di una locanda in cui brulicano figure annegate nel fumo denso delle pipe. C'è un musico fuori dalla porta, ha degli abiti sicuramente di seconda mano ed un liuto usurato, non se la deve passare benissimo. Gli passo a fianco per incrociare il suo sguardo e bere avidamente dalla disperazione che ne trapela.
Contro ogni mia aspettativa mi afferra il braccio costringendomi a trattenermi, e mentre mi parla sento il suo alito pesantemente odoroso di vino scadente.

"Alcuni dicono che senza speranza la vita è impossibile, altri dicono che con la speranza la vita è vuota."

Intona quei versi cadenzandoli con le note di un motivetto tipico, e mi fissa con una vacuità di sguardo che mi attrae pericolosamente. Quelle parole sono così appropriate, eppure vedo soltanto un ubriacone disilluso dalla vita che ha osato toccarmi con le sue lerce mani. Gli do un deciso strattone e mi allontano senza voltarmi.
Il motivetto continua a girarmi nella testa anche mentre scivolo lungo i vicoli più stretti, per accorciare il percorso verso casa ed evitare altri incontri spiacevoli.

La speranza che vedo nelle piccole vite che mi girano attorno non è altro che un quadro estraneo, che mi include ma al quale assisto come a uno spettacolo privo di intreccio, fatto solo per intrattenere gli occhi. Balletto senza nesso, un muoversi di foglie al vento, nuvole dove la luce del sole cambia colore, antiche aperture di vie, a casaccio, in opposti punti della città.
Una mappatura cifrata di punti pregni di significato sparsi alla rinfusa su una superficie caotica ed asfissiante.
Traccio le connessioni e poi mi perdo a osservarle, le guardo svanire e perdere senso. Con tutta me stessa desidero arrivare a vedere le cose come fa lei. E se invece fingesse soltanto?

Sono assorta in questi pensieri quando attraverso l'ultima piazzetta e una figura femminile incappucciata mi viene addosso urtandomi di proposito. Nello scorrere di un istante che si perde nel trambusto di quella piazza affollata accolgo il suo gesto che mi consegna un piccolo sacchetto di velluto nero.
Continuo a camminare senza voltarmi e infilo le mani sotto al mantello cercando di capire al tatto cosa contenga, inutilmente.

Solo una volta rientrata nelle mie stanze, nell'indifferenza generale delle altre jhasine indaffarate a ornarsi i capelli e mischiare oli profumati, apro quel sacchettino con estrema lentezza.
E' un ciondolo che riconosco bene, macchiato di sangue che adesso sporca anche le mie mani.

Qualcosa come la percezione di un tonfo sordo, da qualche parte dentro di me, ha la spietatezza di una consapevolezza raggiunta oltre le lacrime, oltre le emozioni, al di là di me stessa, del bene o del male.

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~ Mistledale, oggi ~

Il sole è sorto da poco all'orizzonte, eppure il mattino è già circonfuso di una luce abbagliante, tanto più intensa quanto più è stata profonda l'oscurità che l'ha preceduta. I sussurri della voce di lei ancora mi riecheggiano nella mente, e mi sento profondamente calma, svuotata d'ogni tensione.

Non ho voglia di salire su una carovana affollata di gente, così inizio semplicemente a camminare verso la città, nella vana illusione che ogni passo regolarmente messo dietro l'altro mi aiuti a riordinare parallelamente le idee.

Vedo chiaramente le strade che ho davanti a me, ma molto più nebbioso è il futuro che attende oltre quegli orizzonti. Scelte, conseguenze, e l'indistruttibile consapevolezza che in fin dei conti la via è una sola, sempre quella, in caduta libera.

"Tu hai scelto, pertanto sarà solo tua questa responsabilità. Sei consapevole di ciò?"

Soffia un vento eccessivo sul sentiero tra le fattorie della valle, e d'un tratto ho paura di pensare. Qualcosa mi urla nel cervello che non ho mai avuto scelta, ma si quieta lentamente, mentre il vento tutto in torno si alza più impetuoso.
Conosco un solo modo di placare la sete, tutto il resto è un corollario d'ombre che s'agitano sul palcoscenico dietro un sipario sempre più sottile.

Non si torna indietro: una volta accarezzato il buio delle profondità dell'oceano non c'è modo di risalire. In molti scelgono di essere ciechi, di riporre le proprie preghiere e speranze in vane illusioni colme di ipocrisia, perchè sanno che se si voltassero vedrebbero l'ombra proprio lì, al loro fianco, pronta ad inghiottirli. No, non potrebbero sopportarlo.

Molti anni fa io ho scelto di vedere, condannando me stessa. Ma non sono abituata a prendermi responsabilità che non riguardino soltanto me. Mi brucia, è una paura che non conosco e che devo imparare a gestire.

Rallento il passo e inizio a immaginare il suo sangue che scorre, e uno, due, decine di modi per toglierlo di mezzo se fosse necessario. Li analizzo con freddezza spietata, nei dettagli.
Poi mi fermo e fisso la strada, incrocio lo sguardo di un paio di viandanti, uno di loro si avvicina a chiedermi se va tutto bene. Devo essere impallidita? Scrollo il capo e proseguo.

Lo stomaco si stringe con una violenza inaudita, e non riesco a non pensare all'unica altra volta in cui quel senso di vuoto terrificante mi ha inchiodata all'ineluttabilità terribile del destino che ho scelto.
Quel ciondolo insanguinato a Calimport. Un dono macabro e infinitamente eloquente.

Non ho mai saputo chi fosse stato a decretare la sua morte, ma avevo deciso di imputare l'assassinio a Shayla. Sì, doveva averlo fatto per vendicarmi, per togliere da questo fetido deserto di menzogne ed illusioni l'unico uomo che avessi osato stupidamente amare.
Con quella convinzione nel cuore le avevo giurato eterna fedeltà.

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Dyane Alfarham
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