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[Realgar] La pietra e il sole
#1
Non si erano accorti di lui.
Quando il gruppo era giunto, la maggior parte delle ossidiane era in meditazione. Non si aspettavano un attacco.
Gli assalitori erano pochi ma ottimamente addestrati ed equipaggiati. Al termine della battaglia non una ossidiana era viva. Gli assalitori frugarono i corpi e controllarono palmo a palmo ogni angolo di quei sotterranei in cerca di ricchezze. Presero tutto ciò che trovarono e se ne andarono sghignazzando. Gli unici luoghi che non si presero la briga di controllare furono le celle degli schiavi.

Fortunatamente.

Realgar non somigliava affatto ad un’ossidiana, ma nemmeno a quegli esseri, per cui non era affatto certo che lo avessero lasciato vivere. Non si soffermò a pensare come mai avesse riconosciuto tra loro un nano, dal momento che non ricordava nulla del suo passato prima della schiavitù, avvenuta tre anni prima e non ne aveva visti in quel periodo.
Sapeva che gli altri esseri definivano se stessi umani.
Un umano era stato schiavo delle ossidiane con lui, per questo lo sapeva, e gli aveva insegnato quel poco della lingua comune che Realgar conosceva, ma era stato ucciso a frustate dal padrone poco tempo prima. L’ umano inizialmente chiamava i padroni Drow, ma anche lui alla lunga preferì ossidiane, il termine usato da Realgar.

Quando gli assalitori se ne andarono, nel sotterraneo piombò il silenzio.
E Realgar, con pazienza, si mise al lavoro.

Ci vollero quattro ore perché riuscisse a liberarsi del collare di ferro che, con una catena, gli permetteva di muoversi per un raggio di meno di mezzo metro dal muro dove essa era fissata. Una volta libero dal collare, con un paio di calci sfondò la porta della cella. Raccolse una vecchia corazza semi arrugginita indossata da uno scheletro caduto il quel corridoio chissà quanto tempo prima, prese uno scudo dal cadavere di una ossidiana e felice dell’insperata ed improvvisa libertà, uscì, decisamente con troppa leggerezza.
Quell’errore gli costò quattro giorni di cecità.

Nonostante fosse ormai notte, infatti, persino la luce di Elune e delle stelle furono devastanti per la vista del genasi, abituato da troppo tempo, forse da sempre, al buio completo o quasi. Ma nonostante questo doveva assolutamente allontanarsi. Sapeva che sarebbero giunte ossidiane di rinforzo di lì a poco, lo aveva sentito dire il giorno prima dal suo ex padrone. Si strinse uno straccio sugli occhi e si allontanò.
Quando venne giorno, il dolore agli occhi quasi lo fece impazzire.
Si scavò freneticamente una buca e vi rimase per quattro giorni, fino a quando, a poco a poco, i suoi occhi iniziarono ad abituarsi alla luce.

E in quel momento iniziò la sua meraviglia.

Non avrebbe mai immaginato che esistessero così tante tonalità di verde. Si ritrovava nel mezzo della foresta del Cormanthor, talmente circondato dal verde che aveva la sensazione di trovarsi all’interno di uno smeraldo.
Le piante, gli animali… non aveva mai visto nulla di così stupefacente.
In quel luogo gli elementi avevano raggiunto un equilibrio tra loro, e insieme avevano creato la perfezione, l’armonia.
Ma era consapevole che, seppur meraviglioso, quel mondo poteva essere letale per chi non lo conoscesse, e Realgar non lo conosceva.

Aveva bisogno di aiuto.
Giunto a questa conclusione, prese le sue cose e s’incamminò, doveva trovare gli umani.
Realgar
Thrain Stoneshield
   
                                                              

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#2
In un modo o nell'altro, Realgar era riuscito ad arrivare ad Ashabenford.
Durante il viaggio, dopo essere stato lapidato da un gruppo di ragazzini mentre passava accanto ad una casa colonica, dopo avere terrorizzato una vecchietta con la sua sola presenza ed essere stato scacciato da un'altra casa dove era andato per dissetarsi ad un abbeveratoio nell'aia, aveva deciso di tenere nascosta la sua natura col cappuccio del mantello e il bavero alzato. Era evidente che la sua diversità spaventava la gente.
Giunto in città si rese immediatamente conto di avere un altro grosso problema. La sua stazza e il volto coperto non davano nessuna fiducia, e la sua conoscenza del comune era semplicemente ridicola. Sarebbe stato molto difficile comunicare con chicchessia. Il luogo che meglio si addiceva ad un soggetto come lui era il quartiere nord. Aveva notato subito infatti che lì molti giravano col volto coperto, furtivi. E nessuno faceva caso a lui. Si sistemò ai Sei Scudi. In qualche modo riuscì a spiegarsi con l'oste e raggiunsero un accordo per una stanza.

Una volta sistemato, cominciarono le sua esplorazioni per la città. E fu durante una di queste che ebbe la fortuna di conoscere delle persone che lo aiutarono. Una era una donna, Xenia si chiamava, che le diede molti utili consigli. Ma l'aiuto maggiore lo ebbe da un uomo, Alakai, che da quel giorno si prese in carico l'istruzione del genasi insegnandogli il comune. Egli aveva il vantaggio di conoscere il drowish, che i due usavano come liguaggio comune quando non erano chiari alcuni concetti. Inoltre Realgar percepiva una sottile differenza tra lui e gli altri umani. C'era qualcosa in Alakai che lo rendeva un poco più affine al genasi, seppur in maniera strana.

L'insegnamento procedeva tra alti e bassi, ma finalmente il genasi riuscì a padroneggiare la lingua un po' meglio, imparando anche a leggerla e a scriverla.

Ora era più semplice.
Realgar
Thrain Stoneshield
   
                                                              

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#3
Musica, una musica calda e incalzante, seducente.
Sorrisi velati da sete multicolori.
Risate, parole, risate ancora.
Lei si avvicina, sinuosa. Il suo corpo aderisce a quello del genasi.
Avvicina il viso velato al suo, lentamente, dolcemente.
Alza il velo e nell'esatto istante in cui le labbra dei due si toccano...

Realgar si svegliò.

Si era accampato nella campagna tra Ashabenford e l'Opale d'Acqua.
Era quel momento in cui la notte stava per cedere il posto all'alba, ma alba ancora non era. Gli animali notturni tacevano e quelli diurni non si erano ancora svegliati. Era l'unico attimo di silenzio della natura.
Il genasi si alzò cercando disperatamente di trattenere la memoria di quel sogno, ma era come sabbia tra le dita. A poco a poco sfumò e si perse nell'oblio.
Sospirando, andò al ruscello a lavarsi il volto, meditabondo.
Tre anni di schiavitù non erano riusciti a smuoverlo quanto una serata in quella strana locanda che era l'Opale. In una notte aveva visto meraviglie e aveva assaporato...
Si sedette sul bordo del ruscello. L'acqua cristallina scorreva sufficientemente lenta da specchiare il volto roccioso dell'essere che lo guardava.
Aveva parlato con un drago... molto giovane, chiacchierone, ma era una cosa stupefacente, un essere splendido. Persino Shedrimnes, che giocava sempre a fare la donna che aveva visto tutto, si era emozionata parlando con quel cucciolo.

E poi la gara di bevute.
E il premio.

Grimm l'aveva proposta, ma Realgar l'aveva vinta.
E il premio era stato un bacio da Shedrimnes. E lei, amante di quel gioco, aveva deciso che quel bacio doveva essere memorabile.
E lo fu.
Ripensò al contatto con le sue labbra, al suo sapore, alla sensazione che si era svegliata in lui, dolce, intensa.

Ma non sconosciuta.

Quel bacio gli aveva ricordato di essere di pietra solo per metà, gli aveva ricordato che anch'egli aveva sangue nelle vene, che scorreva come quel ruscello davanti a sé, placido, oppure come le rapide di un fiume in piena. Ma quel bacio aveva acceso anche qualcos'altro nella sua mente, una indefinibile sensazione di già vissuto, sfuggente quando tentava di focalizzarla, ma da quel momento sempre presente in un remoto angolo del suo essere.
Meditò a lungo su questo. Non si rese conto che i primi uccelli del crepuscolo si erano svegliati e avevano cominciato il loro canto. Non si rese nemmeno conto quando il cielo cominciò a schiarire, colorando l'orizzonte orientale di rosso, e dopo, quando il sole si levò, preannunciando una splendida mattina.

Quando si alzò il sole era già alto.
Si guardò intorno quasi commosso, non riuscendosi ancora ad abituare alla bellezza di quel mondo, poi smontò il bivacco, raccolse la sua roba e si allontanò.
Realgar
Thrain Stoneshield
   
                                                              

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#4
Pioveva.

Gli stivali affondavano nelle pozzanghere della strada. Realgar non era nativo di Battledale, era piuttosto evidente. Quella era la prima volta che vedeva Essembra, e quella notte non era un granché.
Alla locanda si festeggiava, ma a lui non interessava festeggiare una vittoria non sua in una guerra non sua, per un sovrano non suo, in una locanda che era diventata una sorta di ospedale da campo piena di feriti, alcuni dei quali  probabilmente non avrebbero rivisto i figli la mattina successiva.

Oltrepassò le porte della città alta, divelte, aggirandosi per le strade rosse di sangue non suo.
La cosa non gli faceva nessun effetto.
Scavalcando cadaveri, giunse finalmente alla bassa torre che i compagni gli avevano descritto alcune ore prima, la torre di quei famigerati thayan: schiavisti, guerrafondai,  tessitori di trame politiche, e chi più ne ha più ne metta.

Era ancora lì, intonsa.
Il genasi la osservò a lungo: dava un’idea di tranquilla, sontuosa, pacifica, intoccabile opulenza.
Uno strano contrasto in quel contesto di morte violenta  che la circondava. Come una belva che sonnecchiava soddisfatta, circondata dai resti sanguinanti della preda che era stata il suo pasto.

E in locanda i vincitori festeggiavano la vittoria.

La vittoria.

Con un amaro sorriso sotto il cappuccio fradicio, il genasi si allontanò. Era ora di tornare ad Ashabenford.
Realgar
Thrain Stoneshield
   
                                                              

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#5
Il genasi posò la sanguigna.

Ricontrollò le due lettere, pressoché identiche tra loro, e si ritenne relativamente soddisfatto. Già, per avere cominciato a scrivere in comune da molto poco non se la cavava poi così male. Probabilmente era portato per le lingue.
I suoi problemi maggiori arrivavano quando tentava di scrivere con la penna d'oca. Evidentemente aveva le mani troppo grandi, le dita troppo grosse... Fatto sta che dopo una o due parole, il calamo si spezzava, rilasciando sulla pergamena un lago d'inchiostro. Per cui aveva deciso di ripiegare sulla matita a carboncino, o sulla sanguigna, a suo parere molto più raffinata per scrivere missive formali.

E dal momento che erano formali, le aveva firmate col suo vero nome. Non che Realgar fosse un nome falso, assolutamente no. Era solo la semplificazione, la versione confidenziale di Rahj al Ghar, il suo nome vero che, anche se era ancora completamente senza memoria, era piuttosto sicuro che non fosse mai stato utilizzato granché.

Consegnò personalmente la lettera indirizzata al tempio della Triade ad un novizio che ne spazzava il cortile d'entrata, mentre quella per l'accademia di Elven Crossing la lascò al capo carovaniere del piccolo convoglio che sarebbe partito da Ashabenford per la cittadella di lì a poco.

Aveva necessità di istruirsi su una matera un poco ostica, la demonologia.
A Realgar non serviva una dissertazione sulle problematiche intrinseche nella costruzione di portali per Cania, ma semplici informazioni sui piani immondi… l’Abisso, i Nove Inferi e i loro abitanti. Non ne sapeva o non ne ricordava assolutamente nulla.
Mentre tornava con calma verso l'Opale, la sua mente si focalizzò sul motivo della sua ricerca.

Shedrimnes.

Non poteva certo dire di conoscere bene l’elfa dai capelli rossi, ma da quel poco del suo carattere che aveva potuto osservare in quei pochi giorni, al genasi Shedrimnes non dava l’idea della protettrice dei deboli e dei bisognosi. Lei stessa aveva dichiarato di avere poche persone con cui andava d’accordo. La maggior parte della gente era, nel migliore dei casi, mal sopportata. Certo, poteva benissimo indossare una maschera di disprezzo e di cinismo per nascondere il suo amore per il prossimo, questo sì, ma se Shedrimnes era quello che dava a vedere, la crociata che stava in qualche modo tentando di mettere in piedi, nonostante le sue dichiarazioni, aveva una sola motivazione: la vendetta.
E se fosse stato così, lo spirito di totale sacrificio dell'elfa verso la causa rasentava pericolosamente l'ossessione, e la cosa lo preoccupava.
Stava cominciando ad affezionarsi a quella folle, potentissima ragazza.

Comunque non era abituato a mentire con se stesso, sapeva di stare maturando una decisione, unirsi a quell'improbabile esercito di cacciatori di demoni che Shedrimnes stava creando.
Almeno per un po'.
Non gli dispiaceva essere parte di qualcosa in quel mondo in cui per lui tutto era sconosciuto. E doveva ammettere che far parte di un gruppo che comprendesse Shedrimnes era decisamente piacevole. La ragazza sapeva essere una combattente temibile, senza ombra di dubbio, ma sapeva anche essere una donna, e questo aveva un valore anche per un genasi della terra, nonostante la sua stirpe non fosse particolarmente portata per le relazioni inaspettate.

Ovviamente non era l'unico motivo. Aveva visto con i suoi occhi gli effetti della presenza di un immondo in una villa, per anni. La terra era maledetta, gli animali erano impazziti, e uomini ed elfi irretiti e uccisi, oppure semplicemente uccisi, e sempre in modi raccapriccianti. Ma non erano gli umani e gli elfi a preoccuparlo. Non aveva particolare interesse per loro e la loro prosperità. Era di quel mondo luminoso in cui si trovava che gli importava. Lo sorprendeva e lo commuoveva per la bellezza che l'armonia tra gli elementi gli conferiva e pensare alla profonda stonatura che gli immondi creavano, lo disgustava oltre ogni dire.

E poi aveva il sentore che ci fosse qualcos'altro...
Realgar
Thrain Stoneshield
   
                                                              

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#6
Freddo intenso
Il cielo dell’identico colore del terreno
Bianco
Gelo
Occhi grigi che pare ti osservino l’anima
Capelli biondi, lunghi


Reyka

Di nuovo si svegliò di soprassalto.  Lottò con forza per mantenere memoria di quel sogno e stavolta ci riuscì. Un ambiente ostile, gelido, e il viso di Reyka.
Chi era Reyka? Cosa significava per Realgar?

Non ricordava...

Era un’umana, senza dubbio. Dunque in passato aveva conosciuto altri umani.
E quel mondo gelido…  Recentemente aveva attraversato il passo di Tilver, e c’era neve a terra… e il cielo muta di colore, a seconda del clima.
Che fosse lo stesso mondo in cui si trovava ora? Quello che i libri chiamano “Piano Materiale”?
In effetti, seppure sembrasse totalmente diverso dalla rigogliosa foresta del Cormanthor che avvolgeva le Valli, non era da escludere. Aveva sentito gli avventurieri parlare delle loro terre di origine, e aveva compreso che potevano esserci differenze sostanziali da regione a regione, anche climatiche.

Il genasi rimase seduto, appoggiando la schiena alla spalliera del letto, a meditare su quello strano sogno, a riviverlo, cercando ogni piccolo particolare.

Era ancora notte fonda e la stanza dell’Opale era investita dalla luce di Elune che entrava dalla finestra aperta. Davanti ad essa, comodamente seduta su una poltrona e avvolta in una raffinata veste da camera stava Shedrimnes, le gambe accavallate e il viso rilassato tra i fulvi capelli, a osservare fuori.
Era immersa in quella sorta di meditazione rigenerativa che gli elfi chiamano reverie. Non dormiva, gli elfi non dormono, ma non era nemmeno completamente presente.

C’era un particolare nel suo sogno che non riusciva a focalizzare. Mentre cercava di farlo emergere dai gorghi della memoria, percorreva con lo sguardo il profilo dell’elfa, seduta poco lontano davanti a sé. Quando i suoi occhi giunsero al collo della ragazza, le nebbie si dissiparono.

Il collo di Reyka era chiuso da un collare di ferro,  il collare di una schiava.
Realgar
Thrain Stoneshield
   
                                                              

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#7
Era estremamente piacevole perdersi nel Bosco del Cormanthor. Era da parecchio che l’idea gli sfiorava la mente, poi quel giorno, quasi per caso, accadde. Si trovava a qualche miglio a est di Essembra quando, mappa alla mano, decise di continuare a est fino a trovare il fiume Duathamper.
Dopo tre ore, scavalcando una macchia di cespugli, cadde inaspettatamente nelle acque scure del fiume. Lo aveva trovato.
Il tempo che serviva per asciugare gli abiti e l’attrezzatura fu sufficiente per fargli prendere la decisione di seguire il corso del fiume per un giorno o due al massimo.

Dopo oltre un mese, Realgar il genasi sbucò dal bosco dalle parti di Elven Crossing stanco morto, sporco lercio, ma felice come una pasqua.

La prima persona che incontrò fu Darsa Naur che lo insultò per la sua ignoranza. Trovava folle che qualcuno fosse stato altrove per un mese e non avesse, come prima cosa, letto gli annunci.
Del resto non era certo un mistero il fatto che i genasi del fuoco fossero squinternati… si sapeva.
Dopo un po’ la mollò lì, lei e la sua gentilezza, e attraversò il portale per Myth Drannor, dove, finalmente trovò qualcun altro che lo informò meglio della situazione.

In quel mese era scoppiata qualcosa che somigliava tanto ad una guerra.

Chissà se era una guerra per cui valeva la pena di combattere…



Dopo alcuni giorni ripartì, e nessuno lo rivide mai più.
Realgar
Thrain Stoneshield
   
                                                              

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#8
Alla vista delle prime propaggini della foresta del Cormanthor, Realgar si rilassò.
Aveva viaggiato a lungo. Si era unito ad una banda di contrabbandieri sembiani, aveva fatto il mercenario per un signorotto theskian, aveva visto i Cavalieri di Grifoni di Algarond, aveva attraversato il Mare delle Stelle Cadute fino a Westgate, aveva viaggiato lungo le brughiere del Cormyr fino a giungere alle innevate Bocche di Tilver. E poi, finalmente, il Cormanthor. E quella lunga striscia di terra fertile che giunge fin quasi al cuore della foresta di smeraldo, quella striscia seminata a grano e orzo chiamata Mistledale.
Era contento di essere tornato da quelle parti. Era il luogo dove per la prima volta aveva visto la luce del sole; in un certo qual modo si sarebbe potuto dire che era nato lì.

La memoria era ancora come la mattina in quella valle: nebbiosa. Qualche dettaglio, per la verità l’aveva ricordato, ma cose da nulla.

Comunque inutile pensare a quelle cose. Ashabenford era ancora lontana.
Realgar
Thrain Stoneshield
   
                                                              

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