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[Sturm Greif] Come Folgore dal cielo.
#41
XLI

Finalmente parte del corpo era fuori dalla schiacciante morsa della sabbia!
Uscirne fuori fu di una difficoltà inumana, e di una pericolosità mortale. Se non altro il cammello si era rivelato un'ancora di salvezza. Lui e le staffe della sella che si trascinava dietro.
Sturm s'era risvegliato urlando con il camminatore del deserto impegnato placidamente a saggiargli e masticargli i capelli neri che per forza di cose doveva aver scambiato per un ciuffo d'erba.
In qualche maniera e dopo svariati tentativi Sturm era riuscito ad afferrare le staffe della sella con la bocca, quindi aveva infilato la testa tra l'arcione della sella e alcune cinghie che si erano intrecciate.
Poi Sturm aveva urlato con tutta la voce che gli era rimasta in corpo, esplodendo tutto il dolore che aveva nella gola. L'intenzione era quella di spaventare il cammello e farlo partire al galoppo così che si trascinasse dietro, di peso, il giovane ruathen.

Lo spavento colse il cammello che partì subito al suo flemmatico galoppo. Tuttavia la speranza di venir trascinati subito fuori dal terreno risultò vana, anzi, si sfiorò invece la tragedia, con uno Sturm strattonato così forte che le cinghie per poco non gli schiacciarono la trachea, o ancor peggio, rischiarono di spaccargli l'osso del collo e stuccargli di netto la testa.
Se prima c'era la Morrighan ad espirare il flusso del destino fatalista sulla testa del ruathen, ora quel posto era stato preso da Hel che già pregustava la torturata anima del guerriero.

La Morrighan però pareva essersi voltata da un'altra parte, ed Hel dovette attendere. Tymora era sopraggiunta. E in lontananza anche le Furie davano segno della loro presenza con la formazione di una terribile tempesta di sabbia. Persino lì, sperduto in mezzo a quel deserto, Sturm potè percepire lo sguardo del Signore delle Tempeste. Non c'era luogo o ambiente che potesse sfuggire a qualsiasi tempesta, di altrettanta qualsiasi natura.

L'ultimo strattone comunque fu talmente forte che Sturm pensò ormai di morire ma proprio quando decise di lasciarsi andare a quel tiraggio mortale, il volto violaceo, il fiato mozzato, la vista annebbiata e gli occhi rivoltati, sentì le spallone disincagliarsi e la sabbia smuoversi per poi scivolare addosso al corpo che finalmente stava emergendo.
Ma il fiato continuava a mancare e il collo taurino non avrebbe resistito ancora a molto alle percosse del cammello che poco più in là si agitava impaurito.
Sturm si riebbe quel tanto che bastava per riuscire a muovere con incredibile difficoltà le braccione e le manone rimaste fin troppo paralizzate. Si liberò della sella oppressiva che lo stava uccidendo ed inspirò profondamente, a pieni polmoni, gonfiando l'ampio torace che seppur smagrito rimaneva ancora tonico.

Poi la voce conosciuta, il sussurro all'orecchio. Majuk. La testa girava per lo sforzo e la mancanza di energie. «Ogni cosa qui può darti morte qua. Anche il più misero singolo granello di sabbia che forma tutto questo deserto. Sei riuscito a sopravvivere al tempo. Riuscirai a sopravvivere anche ai figli delle sabbie 
Il sussurro svanì quando all'orecchio giunsero alcuni suoni ben distinti: il sibilo e le sonagli dei serpenti, e il riecheggio della stridula e selvaggia risata animalesca delle iene che si avvicinavano, i mangia carogne.
Senza pensare oltre Sturm cominciò a scavare nella sabbia con le nude manone.

Sturm trasalì come se si fosse ridestato da un incubo ad occhi aperti. In reazione, con le manone, aveva stretto ed accartocciato il manifesto di una taglia che aveva catturato la sua attenzione di quando era stato ad Ashabenford.
La dispiegò di nuovo, lentamente, leggendone il nome del tizio ricercato.
Dunvald.
Ricordava quel nome, lo stesso del sembiano che tempo prima stava cercando insieme a tanti altri per rintracciare una giovane ragazza di nome Bettina, sparita misteriosamente chissà dove.
Quella taglia aveva rassicurato Gram fugando ogni possibilità di accuse nei suoi confronti per un ipotetico furto compiuto ai danni dello stesso sembiano.
Duemila pezzi d'oro. Mica male come ricompensa. Derek tuttavia aveva deciso fin da subito di non volerne sapere niente, non credeva che perdere tempo a Mistledale per quella ricerca potesse in qualche modo procurargli un tornaconto di suo interesse. Discorso diverso invece se quel Dunvald fosse stato trovato a Battledale, in quel caso forse un pò di tempo valeva la pena di sprecarlo.

Sturm non pensò che ad altre due persone che potessero interessarsi alla faccenda: Aslaug e Dyane.
E ovviamente anche tutti quelli che erano rimasti invischiati nella faccenda.
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#42
XLII

Non aveva mia pensato a quell'eventualità. Era talmente abituato a prenderle e a sfiorare la morte così tante volte che la mente aveva deciso di non soffermarsi più su determinate poco probabili conseguenze.
In battaglia un combattente poteva perdere con più probabilità una mano, un braccio, l'uso delle gambe, qualche dito, i denti. Alcuni perdevano anche il naso. O la lingua. Altri ancora anche un occhio.
Poi ovviamente c'era chi perdeva anche la vita.

Ma la possibilità, anzi, il rischio di diventare cieco, di perdere così di punto in bianco la vista non rientrava nei più prossimi timori del ruathen.
Il nero più completo e assoluto. Ancor più oscuro del niente che l'aveva inghiottito nel deserto dell'Anauroch. Lì per lo meno, di tanto in tanto, c'era Selune con le sue lacrime che rischiaravano tenuemente il paesaggio.
Ma qua non c'era sole che potesse sorgere ad illuminare un bel niente.
Non c'era Selune a dare un barlume di chiarore e falsa speranza.
Non c'era assolutissimamente niente, neanche l'ombra di una misera scintilla.

C'erano le immagini dei ricordi, quelle furono le prime a risalire a galla come fossero pozze d'acqua limpida in un'oasi sperduta nel deserto più dimenticato.
E ovviamente solo in quel momento, in quello stato così debilitante, Sturm aveva capito quanto dipendesse dalla vista. Vista e udito. A Ruathym erano essenziali per la caccia e per la sopravvivenza nei giorni di magra trascorsi tra le impervie montagne o durante le burrasche di mare.

Il nulla era divenuto il suo peggior nemico. Un nemico astratto ed implacabile, nonchè dannatamente subdolo. Era perso, completamente perso. Così intimorito da quella condizione che non riusciva a ragionare. Rabbia e paura si mischiavano tra loro in un vortice sempre più distruttivo che stava mandando il guerriero fuori di testa. Perdere le mani sarebbe stato peggio? Potevano essere sostituite da protrusioni meccaniche di foggia gnomica, nanica od orchesca. O chissà di quale altra diavolo di cultura. Per le gambe il discorso era lo stesso.
La lingua? Poteva benissimo evitare di parlare.
Ma gli occhi? Come si poteva ingannare la cecità?
Poteva udire il seducente sussurro della mezzelfa nell'orecchio: «Sai Sturm, l'oscurità è anche questa. L'oscurità dà, ma soprattutto, l'oscurità toglie. Rispettala sempre, temila».

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Berrion sicuramente gli avrebbe detto di appellarsi agli altri sensi e Jaeht gli avrebbe annuito appresso. Ma quanto tempo poteva volerci perchè Sturm potesse sviluppare maggiormente tutti gli altri sensi?
Si riteneva poi un uomo, un ragazzo, fin troppo passionale, che si cibava di ciò che vedeva, saziandosene. I paesaggi. Le feste. Le autentiche meraviglie. Le magie.
Le mattanze. Il sangue. Le proprie ferite. 
Se stesso.
Le donne nude.

Per sedarlo Derek gli aveva somministrato un sonnifero, spacciandolo per sicura soluzione alla vista. Sturm s'era addormentato seduto sul letto, con addosso tutta l'armatura. Il capo pesante, ciondolante in avanti, con la celata che cigolava ad ogni profondo respiro.
Al risveglio, se così si poteva considerarlo, Sturm era rimasto spaesato.
Non che ci fosse differenza tra sonno e veglia ormai, sembravano la stessa identica cosa. Nero per nero. Sogno o immagini date dai ricordi?
Non osò muoversi dal letto ma piuttosto mosse le braccione a slacciare le cinghie dell'armatura. Movimenti lenti, compiuti a memoria, tocco per tocco.

«Idrial. Io ti maledico con tutto me stesso» fu il sussurro rabbioso di un condannato raugh ruathen.

Com'era temibile la pura bellezza.
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