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[Narumar] Pensieri
#1



"I've seen more places than I can name
And over time they all start to look the same.
But it ain't that truth we chase
No, it's the promise of a better place."




È stato un buon inizio, per essere uno di quegli inizi in cui tutte le premesse sono sbagliate.
'Da dove venite?', mi chiedono. E io rispondo con una bugia. Mi chiedo perché.
No, non dovrei mentire anche a me stesso - so il perché. Volevo sondare le loro reazioni, capire se sapevano di cosa parlavo. 
Ma le Valli sono un altro mondo, come tutte le terre che ho attraversato, in fondo. La gente qui non ha gli stessi sguardi stanchi che adombrano Messemprar, non si salutano quando fa sera domandandosi se si rivedranno il giorno seguente. 
Mulhorand, Unther... solo nomi di luoghi lontani, nel migliore dei casi.
Non sono sicuro si rendano conto della loro fortuna. 

Una gara di poesia. Sono passati vent'anni, da quando assistetti a qualcosa del genere nell'Unther. Prima che tutte le priorità diventassero altre. Parte di me ha apprezzato, non posso negarlo. Parte di me si domandava se stessi solo prendendo tempo.
È stato un lungo viaggio. E mi chiedo, sempre più spesso, se il medaglione che porto al collo significhi ancora qualcosa. Credevo avrei potuto rivedere il volto di Lliira lontano da casa, da tutto il sangue e la paura. Ma quando si mostra, anche solo per un attimo, non mi è di conforto.

Mi chiedo se mio Padre sappia di quel che è successo a mia madre, alla mia - sua? - gente. A volte mi chiedo se potrebbe davvero importargli, anche se sapesse.
Sogno di luoghi mai visitati, di tanto in tanto, da sempre. Foreste immense dove gli uccelli cantano come nulla che esista al mondo potrebbe cantare, lunghe estati miti, vino e miele. Non posso biasimarlo per non curarsi di questo mondo, se quella che sogno è la sua casa.
E non posso biasimare me stesso per il rancore che provo nei suoi confronti.
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#2



"See, honey, I am not some broken thing:
I do not lay here in the dark waiting for thee.
No, my heart is gold. My feet are light
And I am racing out on the desert plains all night."



Myth Drannor è quanto di più simile io abbia mai visto ai luoghi che sogno. Gli alberi sono meno alti e l'aria meno limpida, ma la somiglianza è innegabile - come il riflesso imperfetto di un posto migliore.
Di questi tempi non ripongo grande fiducia negli dèi, ma non posso fare a meno di chiedermi se sia stata una trovata di Tymora il far sì che la Città del Canto fosse teatro dei due eventi per me più importanti da quando sono nelle Valli: c'è un che di innegabilmente ironico nel fatto che sia andata in questo modo.

È ancora una lunga attesa, ma finalmente attesa di qualcosa di
tangibile
e non più solo di una vaga speranza. Mentre aspetto, mi accorgo che nel profondo non credevo avrei trovato alcunché - e di non sapere ancora cosa farò quando verrà il momento di prendere una decisione.
"Partirò", mi sarei detto fino a qualche tempo fa. La mia mente era nelle Valli, ma il mio cuore nell'Unther.
"Resterò", vorrei dirmi adesso. Ma ho dei doveri, e sarebbe codardo e volubile scegliere di farlo solo perché ciò che ho ora è meglio di ciò che non ho più.

Immagino dovrei solo passare meno tempo immerso in questi pensieri. Sto iniziando a rendermi conto del fatto che forse Lliira non aveva mai smesso di cantare - forse ero io ad aver smesso di ascoltare.
E ora che le nubi si diradano, il cielo dietro di esse è immutato. Che sia o no per mano degli dèi, ho una stella da seguire.
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#3



"We're nothing, and nothing will help us.
Maybe we're lying, then you better not stay.
But we could be safer
Oh, just for one day."



Da bambino non mi accorgevo di tutti gli schiavi nella mia terra natale. Credevo fossero semplicemente servitori - i loro abiti e il loro aspetto, quando li vedevo nei palazzi di un nobile o di un funzionario, suggerivano che fossero ben pagati e ben nutriti. 
Un giorno, a una festa, chiesi a mia madre perché i servitori non ridessero e non si unissero alle danze. Mi sorrise incerta, gli occhi velati da una leggera tristezza, e mi rispose che era "perché certe cose richiedono tempo".
Non avevo ancora dieci anni, e tanto mi bastò per non pensarci più. A posteriori capisco perché la sua risposta fu così deliberatamente vaga.

Immagino che ciò che distingue davvero la libertà dalla schiavitù non sia ciò che si fa, ma il volerlo fare o meno.
Perché, a volte, la libertà si presenta nascosta dietro maschere apparentemente incomprensibili.
La maschera di qualcuno che baratta ciò che rimane della sua esistenza per la propria personale idea di integrità; la maschera di chi si condanna a una lotta persa in partenza semplicemente perché è la cosa giusta da fare; la maschera di chi sceglie di restare accanto a qualcuno anche se persino questo qualcuno prova a dissuaderlo.

Più tempo passo nelle Valli, più mi rendo conto di voler ancora salvare la mia terra - ma di non volerci tornare. Non ho mai conosciuto la libertà come l'ho conosciuta qui. Combattevo per essa, ma senza poterla afferrare. E anche quella guerra che ha riempito e plasmato i miei anni mi fu imposta dalle circostanze, non fu mai una mia scelta.
La differenza più grande tra dov'ero e dove sono ora non è una vita di guerra contrapposta a una pacifica - è che qui posso scegliere le mie battaglie.
E nel silenzio di un abbraccio insperato e di un sorriso sincero, l'ho fatto.
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